11 Apr 2019

L’arresto di Assange e la cooperazione tra Stati nello spazio cibernetico

La notizia dell’espulsione di Julian Assange, fondatore della piattaforma di Wikileaks, dall’Ambasciata dell’Ecuador a Londra dove era rifugiato dal 2012 non ha sorpreso molti osservatori. Da tempo, almeno dall’elezione di Lenin Moreno alla presidenza del Ecuador, è risaputo che i rapporti tra il paese e Assange navigavano in cattive acque. Quito ha sostenuto più volte […]

La notizia dell’espulsione di Julian Assange, fondatore della piattaforma di Wikileaks, dall’Ambasciata dell’Ecuador a Londra dove era rifugiato dal 2012 non ha sorpreso molti osservatori. Da tempo, almeno dall’elezione di Lenin Moreno alla presidenza del Ecuador, è risaputo che i rapporti tra il paese e Assange navigavano in cattive acque. Quito ha sostenuto più volte che Assange violava i protocolli relativi alla condizione di asilo politico, in particolare quelli riguardanti il divieto di perpetrare campagne di “hacktivismo”. Proprio per questo motivo all’attivista era già stato revocato l’utilizzo di Internet nell’ambasciata ecuadoregna.

Piuttosto, è il mandato d’arresto da parte della Polizia Metropolitana di Londra e la successiva richiesta di estradizione da parte americana che ha sorpreso gli osservatori. Infatti, l’arresto non è stato ordinato, come si è inizialmente sospettato, solamente sulla base della fuga di Assange nell’ambasciata ecuadoregna nel 2012, ma ha delle implicazioni ben più ampie che riguardano anche molti aspetti legati alla sicurezza cibernetica internazionale. Infatti, come riportato sul sito di Scotland Yard, l’arresto è stato effettuato “on behalf” degli Stati Uniti, i quali hanno richiesto poi l’estradizione per “cospirazione”. Secondo il procuratore della Virginia, Julian Assange avrebbe aiutato Chelsea Manning a penetrare in un network governativo statunitense nel marzo del 2010. Secondo l’avvocatessa dell’attivista australiano, il mandato di arresto americano era pronto dal dicembre del 2017. Da un punto di vista politico, dall’elezione di Donald Trump gli Stati Uniti hanno preso una posizione molto più dura nei confronti di Julian Assange. L’allora direttore della Central Intelligece Agency, Mike Pompeo, disse che WikiLeaks era una agenzia di spionaggio ostile e rappresentava una minaccia alla sicurezza nazionale americana. Infatti, tra le motivazioni a supporto della dichiarazione, vi era l’accusa di aver cercato di influenzare le elezioni americane del 2016 attraverso la pubblicazione delle email esfiltrate al Partito Democratico sulla piattaforma WikiLeaks.  

Al di là degli sviluppi giudiziari, la vicenda di Assange è rilevante da un punto di vista geopolitico se la si valuta alla luce del rinnovato protagonismo statunitense nello spazio cibernetico. Infatti, l’amministrazione Trump ha sviluppato una nuova strategia cibernetica – pubblicata nel settembre 2018 – proprio dopo aver preso atto della proliferazione dei pericoli in ambito cyber e della minaccia che questi possono rappresentare ai propri interessi nazionali: si pensi, ad esempio, proprio alla vicenda delle interferenze nelle elezioni presidenziali del 2016. La nuova strategia prevede un approccio molto più offensivo nel perseguire e difendere gli interessi americani nello spazio cibernetico, che proprio dal 2016 è stato riconosciuto dalla NATO come quinto dominio strategico. Nella National Cybersecurity Strategy si evince che gli Stati Uniti lavoreranno con "like-minded states" per coordinare e supportare le risposte di ciascuno a significativi attacchi e incidenti cibernetici, riccorrendo anche alla condivisione di informazioni di intelligence, sostenendo le dichiarazioni di attribuzione, e supportando le comuni azioni intraprese contro attori maligni. L’arresto di Assange condotto “per conto” degli Stati Uniti è un esempio di cooperazione inter-statale tra nazioni alleate in un dominio – quello cibernetico – in cui ancora non esistono regole del gioco definitive, ma che è diventato sempre più rilevante per la sicurezza nazionale di tutti i paesi.

Infatti, da un lato lo spazio cibernetico è diventato un luogo fondamentale per lo sviluppo delle nostre economie e società, che ormai non possono più funzionare se non sono “connesse”. Dall’altro, si tratta di un ambiente che sempre più rappresenta un teatro di competizione internazionale in cui si contrappongono visioni e interessi divergenti tra diversi attori: dagli Stati stessi ai cyber-criminali, fino agli attivisti e agli attori privati. Gli Stati, da attori marginali in questo contesto, stanno assumendo un ruolo sempre più importante nella gestione e nel mantenimento della sicurezza dello spazio cibernetico: una situazione, questa, che ovviamente ha ripercussioni notevoli su quelle che sono state sempre considerate le idee fondanti del cyberspace, di matrice utopica-liberale a sostegno dell’assoluta libertà di ciò che avvene in rete. Ciononostante, sul piano internazionale, per quanto si siano compiuti progressi nel contrasto alla pirateria e al crimine informatico, vi sono ancora molti ambiti in cui mancano accordi concreti rispetto alle responsabilità e ai doveri degli attori che operano nello spazio cibernetico. Proprio per questo, sino ad oggi gli Stati continuano a perseguire politiche unilaterali o di coalizione, condizione che si ritrova soprattutto tra gli Stati occidentali. Esistono infatti numerose iniziative di scambio di materiale di intelligence (preziosissimo in questo ambito) tra i paesi europei e tra Europa e gli Stati Uniti, sia in ambito di cooperazione NATO che all’interno dell’Unione europea. In quest’ultima, la Gran Bretagna ha anche il doppio cappello di membro del gruppo Five Eyes, che riguarda lo scambio di intelligence tra Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti.

Lo spazio cibernetico, insomma, è ormai diventato un’arena digitale internazionale: il perseguimento della sicurezza cibernetica nazionale è un imperativo ben delineato nella nuova posizione americana che, in mancanza di un corpus internazionale di regole, continuerà – come nel caso dell'arresto di Assange – a basarsi sull’appoggio dei like-minded states.

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