12 Feb 2024

L’Indonesia alla prova delle elezioni generali

Il 14 febbraio, oltre 200 milioni di cittadini indonesiani parteciperanno alle elezioni per eleggere nuovi amministratori, legislatori e il successore di Joko Widodo.

Il 14 febbraio più di 200 milioni di cittadini indonesiani si recheranno alle urne per eleggere oltre 20.000 nuovi amministratori e legislatori, in quella che è stata presentata come una giornata storica per la più popolosa democrazia del globo dopo India e Stati Uniti. Le elezioni, infatti, mirano non soltanto a identificare il nuovo presidente del paese e successore del popolarissimo Joko Widodo, ma anche a rinnovare i 575 seggi dell’assemblea legislativa indonesiana e la composizione delle giunte locali in più di 2.000 municipalità. Si tratta, quindi, di uno sforzo senza precedenti anche dal punto di vista logistico, il quale vedrà schierate circa 800.000 stazioni di voto e più di 7 milioni di volontari, in un paese che consta di oltre 19.000 isole. Al netto di questi numeri, l’attenzione dei media e del pubblico è ovviamente focalizzata sulla contesa per le presidenziali, chiamate a individuare l’erede di Widodo, un capo di Stato che si appresta a concludere il proprio mandato decennale con un indice di gradimento popolare che sfiora l’80%, attestandosi fra i più alti al mondo.

L’ingombrante eredità di Joko Widodo

A prima vista, infatti, il compito di raccogliere il testimone di Joko Widodo alla guida del paese ed eguagliare i suoi successi appare quantomai proibitivo. Il presidente, che ha scalato la politica indonesiana partendo dal ruolo di sindaco di periferia, può fregiarsi di vari primati. In termini di performance economiche, ovvero la principale preoccupazione di Widodo sin dal suo insediamento nel 2014, nel corso dell’ultima decade il Pil dell’Indonesia è cresciuto del 44%. Tali risultati hanno contribuito a far registrare incrementi significativi anche nell’attrazione di investimenti esteri e nella bilancia commerciale, permettendo all’economia locale di patire meno di altri paesi una congiuntura internazionale certamente negativa, ulteriormente gravata dallo scoppio della pandemia Covid-19 e del ritorno della guerra in Europa.

In aggiunta, il presidente uscente ha legato il proprio nome a un piano di investimenti infrastrutturali senza precedenti, che include anche la costruzione di una nuova capitale. In aggiunta, ha ampliato i sussidi alle fasce più disagiate della popolazione e i servizi di welfare, cercando al contempo di mitigare la cronica dipendenza del paese dal settore estrattivo a beneficio di comparti produttivi a più alto valore aggiunto.

Analogamente, in politica estera l’Indonesia di Widodo ha accresciuto la propria statura in consessi multilaterali come l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico (Asean), il G20 e i Brics, cimentandosi altresì in un delicato esercizio di equilibrismo diplomatico a cavallo fra Washington e Pechino. Se da un lato, infatti, la Cina rimane il partner commerciale di riferimento per Jakarta, tale dinamica è controbilanciata dai significativi legami in ambito di difesa intrattenuti con gli Stati Uniti, forti di un volume complessivo di import-export nel settore militare che durante gli anni della presidenza di Joko Widodo ha raggiunto il valore di 946 milioni di dollari (nel periodo dal 2013 al 2021). Per tutte queste ragioni, molti analisti guardano all’Indonesia come uno fra i più importanti “swing States” in bilico fra Cina e Stati Uniti, il cui posizionamento futuro potrebbe contribuire a definire l’esito del confronto fra le due principali potenze del globo.

Ciononostante, i tanti risultati positivi raggiunti da Joko Widodo non possono e non devono oscurare gli altrettanto numerosi vizi e storture che hanno segnato il suo mandato di governo, riflettendosi anche nella campagna elettorale per il voto del prossimo febbraio. Non c’è dubbio, infatti, che fra il 2014 e il 2024 lo stato di salute della giovane democrazia indonesiana sia visibilmente peggiorato a causa di una chiara deriva populista, nepotistica e clientelare sancita dallo stesso Widodo, il quale ha anche mostrato una crescente insofferenza verso il dissenso politico proveniente tanto dalla società civile quanto da organi dello stato formalmente indipendenti rispetto al potere esecutivo, come la commissione nazionale per la lotta alla corruzione. Preoccupanti, in questo senso, sono anche i ricorrenti episodi di intimidazione e repressione nei riguardi dei movimenti studenteschi che, nella quasi totale assenza di referenti partitici, hanno assunto sulle proprie spalle il compito di esprimere una delle pochissime voci dissenzienti rispetto alla narrazione dominante sostenuta dal governo.[1]

Nel corso degli ultimi cinque anni, non a caso, l’Indonesia ha progressivamente assunto i tratti di una “democrazia senza opposizione”, a seguito di una serie di accordi e alleanze che hanno portato 7 dei 9 gruppi parlamentari ad appoggiare l’amministrazione in carica. In parallelo, il governo ha fatto ricorso in modo ampio e disinvolto ai propri poteri di nomina per cooptare e legare a sé larghe porzioni dell’establishment indonesiano, piazzandole ai vertici di ministeri, organismi parastatali e aziende pubbliche. A seguito delle elezioni di febbraio, peraltro, il nuovo esecutivo sarà chiamato a nominare più di 200 nuovi governatori regionali e municipali, in ossequio a una logica di spoil system che facilita notevolmente i fenomeni di corruzione e patronato politico. Non sorprende, pertanto, che nell’Indonesia di Joko Widodo i partiti più piccoli abbiano deciso di accomodarsi nella maggioranza di governo, al fine di partecipare alla suddivisione di nomine e prebende, anziché sfidarla come proclamato ai loro elettori prima delle elezioni del 2019.

Le maggiori figure della corsa elettorale 2024 e l’influenza di Widodo

L’esempio più paradigmatico delle logiche distorte che contraddistinguono la politica indonesiana riguarda l’attuale ministro della Difesa, nonché grande favorito per la corsa a tre delle prossime elezioni presidenziali, Prabowo Subianto, in competizione con il governatore giavanese Ganjar Pranowo e l’indipendente Anies Baswedan. Prabowo, dopo aver rivaleggiato con Joko Widodo in una doppia contesa senza esclusione di colpi per la carica di presidente in occasione delle tornate elettorali del 2014 e del 2019, all’indomani della seconda sconfitta alle urne aveva accettato senza tentennamenti di essere cooptato nella squadra di governo, ottenendo la guida del dicastero della difesa in cambio del passaggio del suo partito Gerindra all’interno della larghissima maggioranza (pari all’80% dei seggi parlamentari) che ha sostenuto il secondo mandato di Widodo.

Prabowo proviene da uno dei potentati familiari più influenti e al contempo controversi del paese. Nipote del dittatore Suharto – che ha governato l’Indonesia per un trentennio a cavallo fra gli anni Sessanta e la svolta democratica intrapresa nel 1998 – l’attuale ministro della Difesa porta con sé un passato ingombrante da generale a capo delle forze speciali indonesiane. Ricoprendo tale ruolo si sarebbe macchiato di numerose violazioni dei diritti umani e persino di reati di tortura, perpetrati sia contro i movimenti studenteschi che si opponevano al regime di Suharto, sia a Timor Est nella conduzione delle operazioni anti-insorgenza che seguirono l’invasione del 1975.[2]

Riconvertitosi nel corso dell’ultimo quinquennio da radicale detrattore di Joko Widodo a sodale ed estimatore del presidente uscente, la campagna elettorale di Prabowo Subianto in vista dell’appuntamento di metà febbraio ha mirato a un doppio obiettivo. Da un lato, il ministro della Difesa ha fatto di tutto per ottenere il supporto e la benedizione dell’ex rivale, il quale è certamente in grado di mobilitare la propria popolarità fra le masse per spostare milioni di voti a beneficio di un futuro successore. In parallelo, Prabowo si è speso per accreditarsi come uno statista credibile e rassicurante presso l’establishment politico del paese e nei riguardi del grande pubblico, che ne ricorda le sfuriate xenofobe e nazionaliste durante le campagne presidenziali del 2014 e del 2019.[3] La determinazione di Prabowo nell’assicurarsi il favore del presidente uscente, tuttavia, ha marchiato la contesa elettorale in vista del voto di febbraio con toni e dinamiche che oscillano fra il drammatico e il farsesco.

Nei mesi scorsi, infatti, il ministro della Difesa ha offerto al figlio primogenito dello stesso Joko Widodo, il trentacinquenne Gibran, il ruolo di braccio destro e futuro vicepresidente del paese, con una mossa chiaramente finalizzata a ottenere le grazie del padre. Al momento Gibran ricopre il ruolo di sindaco di Surakarta, una città di oltre 500.000 abitanti nell’isola di Giava, da cui partì la fulminante scalata politica del padre. La creazione del ticket fra Prabowo e Gibran ha quindi suggellato un nuovo sodalizio fra due famiglie estremamente influenti, persuadendo lo stesso Joko Widodo a esprimere la propria benedizione per questo improbabile e chiacchierato binomio.

L’endorsement del presidente, peraltro, ha palesemente sconfessato la linea del suo partito, che aveva indicato nel governatore giavanese Ganjar Pranowo il proprio candidato per la corsa alle presidenziali. Dal canto suo, anche quest’ultimo ha tentato a più riprese di accreditarsi come il vero successore di Joko Widodo, lanciandosi in invettive altamente populiste come la campagna ripresa anche sui media internazionali volta all’esclusione della selezione di Israele dai mondiali di calcio under-20 del 2023, che ha costretto la Fifa a spostare la sede della competizione dall’Indonesia all’Argentina.[4]

Il vero colpo di scena della campagna elettorale per le prossime presidenziali, tuttavia, si è manifestato lo scorso dicembre, quando la Corte Costituzionale indonesiana presieduta dal genero di Joko Widodo ha dato il via libera alla candidatura per la vicepresidenza di Gibran, ribaltando così una norma che impone un’età minima di 40 anni per la seconda carica più importante del paese. Il verdetto della corte, fondata nel 2003 all’apice del processo di transizione democratica noto come Reformasi, è stato accolto con scetticismo e preoccupazione sia fra la popolazione locale che fra gli osservatori internazionali. Per due decenni, infatti, quest’organo si è posto come contrappeso al ramo esecutivo, facendosi garante delle conquiste politiche ottenute da un processo di riforma democratica che, giova ricordarlo, era stato orchestrato e gestito dallo stesso establishment politico ed economico dell’era di Suharto, secondo una dinamica top-down che ha consegnato al paese un assetto istituzionale certamente più libero ma tuttora gravato da contraddizioni e storture.

Analogamente, anche i partiti politici si affacciano alle elezioni di febbraio con la percezione generale che il loro ruolo sia stato ormai ampiamente svuotato di significato. Lungi dal fungere da cinghie di trasmissione fra istituzioni e società o da incubatori di una futura classe dirigente democratica, i partiti in Indonesia svolgono ormai la funzione di veicoli per la raccolta di voti e la distribuzione di rendite fra membri dell’élite. Questi ultimi, peraltro, non esitano poi a sconfessare e delegittimare gli stessi partiti in virtù della convenienza del momento, come accaduto a seguito della rottura fra il presidente Widodo (che appoggia il ticket del figlio Gibran con il ministro della Difesa Prabowo) e il suo partito di riferimento (a favore di Ganjar Pranowo) circa la nomina del candidato per le prossime presidenziali. Questa dinamica ha quindi spinto molti partiti ad accentuare i propri tratti leaderistici e personalistici, mentre i loro rapporti con la base si fondano su logiche prettamente clientelari, che poco hanno a che fare con istanze ideologiche o identitarie. Per quanto attiene, invece, alle tematiche e ai richiami elettorali che hanno caratterizzato la campagna in vista delle presidenziali, il favorito Prabowo ha posto notevolmente l’accento su questioni quali ordine, sicurezza e moralità pubblica, anche attraverso un’esplicita opera di corteggiamento degli elettori musulmani conservatori che era già stata messa in campo durante la competizione elettorale del 2019. Per queste ragioni, molti hanno messo in evidenza come il peso dell’Islam nella vita pubblica indonesiana sia in chiara ascesa, così come la tendenza dei vari candidati per le presidenziali ad abbracciare una retorica nella quale nazionalismo, populismo e richiami all’osservanza religiosa si fondono e rafforzano vicendevolmente. Contemporaneamente, Prabowo ha anche fatto ampio uso del suo crescente seguito sui social media per aumentare i consensi fra gli elettori più giovani, appartenenti alla cosiddetta “generazione z”, ovvero una fascia di popolazione in rapidissima espansione demografica che promette di ricoprire il ruolo di ago della bilancia nella prossima competizione elettorale.

Secondo una serie di indiscrezioni giornalistiche, inoltre, l’alleanza stretta fra il clan di Joko Widodo e quello di Prabowo Subianto guarderebbe a un orizzonte molto più lontano rispetto alle elezioni del prossimo mese. La nomina a vicepresidente di Gibran, infatti, potrebbe rivelarsi come l’inizio di un lungo periodo di apprendistato all’ombra di Prabowo, funzionale a un ulteriore passaggio di consegne a favore del figlio primogenito di Joko Widodo al termine del mandato da presidente dello stesso Prabowo. Stando ai sondaggi delle ultime settimane, il ticket composto da Prabowo Subianto e Gibran risulterebbe come il grande favorito per la prossima tornata elettorale, con un tasso di consensi stimato al 45%. Quanto agli altri contendenti, Ganjar Pranowo e l’indipendente Anies Baswedan figurano al momento appaiati con una percentuale di gradimento che oscillerebbe fra il 20 e il 25% dei voti, più che sufficienti per agire come ago della bilancia nella fase post-voto in cui si formeranno le coalizioni.

L’ordinamento indonesiano, infatti, è basato su un sistema elettorale a doppio turno, il quale richiede al candidato vincente di ottenere la maggioranza assoluta dei voti per essere eletto alla prima tornata. Qualora nessun contendente dovesse raggiungere la quota del 50% dei voti favorevoli, si aprirebbe dunque una nuova fase di negoziazioni e possibili accordi fra notabili in vista del ballottaggio, il quale sarebbe calendarizzato per il mese di giugno.

Considerata la cultura politica consociativa e oligarchica che vige in Indonesia, unita alla rinominata tendenza della politica locale a mercanteggiare convergenze di comodo fra attori anche antitetici, il rischio è che un potenziale secondo turno si trasformi quindi nell’ennesima contrattazione a porte chiuse fra élite autoreferenziali e dalle dubbie credenziali democratiche, con buona pace dei milioni di cittadini che si recheranno alle urne avendo a cuore le recenti conquiste civili e politiche del paese.

Fig.7 – Crescita del Pil pro capite dell’Indonesia


[1] S. Jaffrey, Protests Against Joko Widodo Rock Indonesia, Carnegie Endowment for International Peace, 30 settembre 2019.

[2] Il 28 novembre 1975, Timor Est, ufficialmente conosciuto come Repubblica Democratica di Timor Leste, ha dichiarato la propria indipendenza dall’Indonesia. Nove giorni dopo quest’ultima ha invaso i territori di Timor Est e si è scontrata con i movimenti indipendentisti, causando diverse morti civili. Dal 2002 il Timor Leste è riconosciuto come paese indipendente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu).

[3] A. Lam, “From Populist Pariah to “Jokowi’s Man”: Analyzing Prabowo Subianto’s Transformation in the Lead-up to the 2024 Indonesian Elections”, Centre for Strategic and International Studies (CSIS), 4 dicembre 2023.

[4] K. Jibiki, “Indonesia U-20 World Cup cancellation sparks political backlash”, Nikkei Asia, 11 aprile 2023.

Pubblicazioni

Vedi tutti

Eventi correlati

Calendario eventi
Not logged in
x