26 Gen 2024

La Corte Internazionale di Giustizia : “Israele eviti un genocidio”

La Corte internazionale di giustizia esorta Israele a evitare un genocidio a Gaza. Il Sud del mondo esulta, mentre si approfondiscono le crepe di un ‘ordine mondiale’ sempre più contestato.

La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia respinge la richiesta di archiviazione di Israele e decide di procedere nella verifica delle accuse di genocidio mosse dal Sudafrica contro Tel Aviv nell’ambito della guerra a Gaza. Una sentenza preliminare, che non riguarda l’accusa di presunto genocidio commesso ai danni del popolo palestinese, che richiederà un processo ben più lungo, ma dall’alto valore simbolico e politico. La giudice Joan Donoghue ha riportato diverse dichiarazioni di politici di spicco del governo israeliano sottolineando che ci sono alcune azioni che “sembrano in grado di rientrare nella convenzione sul genocidio del 1948”. Oltre che sul dossier presentato dal Sudafrica, per il loro pronunciamento i giudici si sono basati anche sui rapporti delle Nazioni Uniteche da mesi denunciano i raid nella Striscia e chiedono un cessate il fuoco, mentre a Gaza il bilancio dei morti ha superato le 25mila vittime di cui oltre la metà donne e bambini. Non a caso, Donoghue ha detto che la situazione dei bambini a Gaza “è particolarmente straziante” e che un’intera generazione ha subito lutti, privazioni e traumi indicibili. Con 15 voti a favore e 2 contrari, i giudici della Corte hanno inoltre chiesto a Israele di adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria nella Striscia. A Tel Aviv è stato dato un mese di tempo per riferire di fronte alla Corte sulle misure prese senza alterare, specificano i magistrati, prove dei presunti crimini commessi a Gaza. Anche se non intima a Israele di interrompere i combattimenti , come invece aveva chiesto il Sudafrica, a Pretoria la sentenza è stata accolta come una vittoria: se non la rispetta infatti, lo Stato ebraico potrebbe rischiare delle sanzioni e in ogni caso il pronunciamento aumenterà la pressione internazionale contro il governo di Benjamin Netanyahu perché fermi la sua offensiva. 

Una zona cuscinetto a Gaza? 

Nella Striscia, intanto, non si fermano i combattimenti e l’avanzata delle truppe di terra israeliane penetrate dal confine nord dell’enclave. Questa settimana, per la prima volta, Israele ha ammesso di stare lavorando per creare una zona cuscinetto all’interno di Gaza, demolendo edifici vicino al confine. Funzionari israeliani hanno rifiutato di commentare quanto ampia sarebbe la zona in questione ma Amos Yadlin, ex capo dell’intelligence militare israeliana, ha parlato di un perimetro compreso tra 500 metri e un chilometro all’interno della Striscia. “Non ci sarà nessuno, solo mine – ha detto in un briefing con i giornalisti – per garantire che il 7 ottobre non si ripeta mai più”. L’argomento è tema di nervosismo tra Israele e gli Stati Uniti, che hanno ripetutamente dichiarato di essere contrari a qualsiasi riduzione della superficie del territorio di Gaza. Secondo l’emittente israeliana N12, dal 9 gennaio ad oggi le forze armate israeliane (IDF) avrebbero demolito circa 1100 dei 2800 edifici che prima della guerra sorgevano sul terreno che intende utilizzare come zona cuscinetto. L’esercito israeliano non ha confermato né smentito il dato, ma che lo Stato ebraico intenda creare una zona cuscinetto a Gaza è verosimile: Israele ha mantenuto una zona cuscinetto dopo il suo ritiro dalla Striscia nel 2005. Ma nel corso degli anni quella zona è stata erosa, in seguito ai negoziati indiretti con Hamas per allentare il blocco sulla Striscia. 

Tentativi di mediazione in corso? 

Nel tentativo di rilanciare i negoziati che languono, la Casa Bianca ha inviato William J. Burns, direttore della Cia, in Europa dove nei prossimi giorni incontrerà alti funzionari israeliani, egiziani e del Qatar. L’obiettivo della missione è far progredire i negoziati sul rilascio degli ostaggi detenuti a Gaza e su un nuovo cessate il fuoco più duraturo. In realtà Israele e Hamas starebbero già trattando in segreto – riferisce Ha’aretz – ma i negoziati si sarebbero arenati proprio sulla contrarietà di Israele a concedere un cessate il fuoco completo. Secondo funzionari coinvolti nelle trattative, il piano prevederebbe una pausa nei combattimenti di 35 giorni, il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza e la liberazione di un numero imprecisato di prigionieri e detenuti palestinesi dalle carceri israeliane. La fiducia tra le parti, tuttavia, è ai minimi e anche ai tavoli negoziali il clima sarebbe estremamente teso: ieri il Qatar ha criticato duramente il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di ostacolare i negoziati per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi per un vantaggio politico personale. E un portavoce del ministero degli Esteri di Doha si è detto “sconcertato” dopo che Netanyahu avrebbe definito “problematico” il ruolo svolto da Doha come mediatore nel conflitto. 

Il Sudafrica non è solo? 

Il governo israeliano non ha reagito subito alla decisione dell’Aja. Il premier Netanyahu si è limitato a dire che Israele “continuerà a difendere sé stesso e i suoi cittadini rispettando il diritto internazionale”. A Pretoria invece il pronunciamento è stato accolto con soddisfazione e il ministero degli Esteri ha definito la sentenza “una vittoria decisiva per lo Stato di diritto internazionale e una pietra miliare nella ricerca di giustizia per il popolo palestinese”. E se è difficile pensare che la corte riuscirà ad imporre le sue direttive – le sentenze della Corte internazionale di giustizia sono vincolanti, ma non esiste alcun meccanismo di applicazione – la sentenza era molto attesa in numerosi paesi del cosiddetto ‘Sud Globale’. “L’importanza del fatto che il paese che porta avanti l’istanza sia il Sud Africa – un’icona delle devastazioni del colonialismo, degli insediamenti e dell’apartheid – non può essere sfuggita a nessuno” ha scritto Nesrine Malik sul Guardian, per cui il caso “mostra come la logica occidentale si stia indebolendo e il suo potere persuasivo stia diminuendo in un mondo multipolare”. E per molti la vicenda è un punto di svolta che svela l’ipocrisia e la riluttanza dell’Occidente nel chiedere conto a Israele delle sue azioni. “Quella andata in onda all’Aia ha osservato Sylvie Kauffmann di Le Monde  “è la denuncia del Sud del mondo contro i criteri di un vecchio ordine dominato dall’Occidente, la cui presunta superiorità morale viene sempre più messa in discussione”.  

Il commento

di Mattia Serra, ISPI Mena Centre

“È ancora troppo presto per sapere se la decisione della Corte internazionale di giustizia rappresenti un punto di svolta per la guerra. Sicuramente, però, si tratta di un punto di svolta per il dibattito internazionale su di essa. Anche se la Corte non ha imposto un cessate il fuoco, è chiaro che la decisione di procedere con il caso e imporre misure provvisorie è una sconfitta diplomatica per il governo israeliano. È probabile che la pressione internazionale nei confronti di Netanyahu e del suo governo aumenti nelle prossime settimane. Un cessate il fuoco sembra ancora lontano, ma il costo politico del proseguimento delle operazioni militari con l’attuale intensità sta aumentando”. 

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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