28 Lug 2023

Niger, il volto del golpe 

Il generale Tchiani ha rivendicato il colpo di stato che mercoledì ha destituito il presidente Bazoum, mentre la comunità internazionale condanna l’ennesimo attacco a una democrazia nel Sahel.
Abdourahmane Tchiani si proclama presidente Niger

A due giorni dalla presa di controllo del Niger da parte di un gruppo di militari, i golpisti hanno annunciato che a guidare il governo di transizione del Paese sarà Abdourahmane Tchiani

Responsabile della guardia presidenziale, il generale 62enne è un alleato stretto del precedente presidente, Mahamadou Issoufou. Paradossalmente, fu proprio lui a sventare un colpo di stato nel marzo 2021, pochi giorni prima del giuramento presidenziale di Mohamed Bazoum. 

Nonostante ciò, la situazione rimane incerta: il presidente Bazoum è ancora prigioniero nella sua residenza, ma è in buona salute.  Inoltre, questa mattina ha potuto parlare con il presidente francese Emmanuel Macron, secondo quanto riferito dalla ministra degli esteri francese Catherine Colonna all’agenzia AFP. Il golpe, quindi, non è definitivo.  Colonna,infatti, ha aggiunto che gli ammutinati hanno ancora una “via d’uscita” se ascolteranno la comunità internazionale, che negli ultimi due giorni si è praticamente espressa con una condanna unanime del rovesciamento del governo eletto due anni fa. 

Sahel: i colpi di stato dal 2020
Sahel: i colpi di stato dal 2020

L’ultimo partner occidentale? 

Dal 2020, la regione africana del Sahel ha visto altri ben cinque colpi di stato: due in Mali, due in Burkina Faso, e uno in Ciad. Nonostante un passato di rivolgimenti, il Niger era rimasto uno dei due regimi democratici della regione. A febbraio del 2021, Bazoum aveva vinto le prime elezioni democratiche da quando il Paese ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1960. 

La “migliore via” per “contrastare la violenza terrorista” è fortificare le istituzioni democratiche, aveva dichiarato Bazoum all’assemblea generale delle Nazioni Unite dello scorso settembre. Così, dopo che il Mali ha deciso di sostituire l’appoggio militare della Francia con il gruppo mercenario russo Wagner, Parigi ha deciso di muovere il proprio centro operativo in Niger, dove il governo era interessato a ospitare le forze europee. I Paesi occidentali hanno dirottato risorse per rafforzare le forze di sicurezza nigerine e contrastare i gruppi insorgenti islamisti collegati ad al Qaeda e allo Stato Islamico operativi nella regione. Tanto che, lo scorso dicembre, l’Unione Europea ha deciso di organizzare una missione di tre anni per addestrare l’esercito. 

Al momento, Reuters stima che la Francia abbia fra i 1.000 e i 1.500 soldati di stanza nel Paese, dotati di droni e aerei da guerra, con il ruolo di supportare le forze locali nelle operazioni nelle regioni di confine. Ma anche l’Italia ha un contingente, di circa 300 soldati. “Negli ultimi dieci anni, l’attenzione e l’interesse del pubblico e della politica italiana per la regione del Sahel […] sono cresciuti esponenzialmente,” scrive Silvia D’Amato dell’Università di Leiden. Roma è presente in Niger dal 2018 con la missione Niger MISIN e successivamente come parte della forza di pronto intervento aereo Task Group Air Sahel, oltre che a essere impegnata nella costruzione del Centro di competenza di medicina aeronautica del Niger (CEMEDAN). 

Niger, baluardo della democrazia? 

Per i leader della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (ECOWAS), l’instaurarsi di un regime militare sarebbe una pessima notizia, in un momento critico per il Niger. Lo stesso Bazoum aveva infatti descritto il Paese come assediato su tutti i fronti: da un lato, il fragile e frammentato stato libico – da lui definito “una piattaforma per il crimine transnazionale” e un crocevia di armi e droga – mentre l’intensificarsi dell’attività jihadista ha aumentato fenomeni di instabilità e violenza anche all’interno delle sue frontiere.

Dopo i golpe in Mali, Guinea e Burkina Faso, ECOWAS aveva promesso che altri tentativi di rovesciare violentemente i governi nella regione non sarebbero stati tollerati. Il Niger viene quindi visto anche come un test dell’abilità dei leader regionali di dissuadere i soldati e riportarli all’interno delle regole democratiche. Purtroppo, secondo l’analista di Brookings Danielle Resnick “finora la sensazione è che ECOWAS non abbia un granché di influenza sulle traiettorie politiche e di sicurezza dei suoi membri.” 

Le motivazioni dietro al golpe inoltre rimangono ancora poco chiare. Tchiani ha dichiarato di aver preso il potere per evitare “la sua graduale ed inevitabile morte”, ma l’analista Paul Melly di Chatham House ha parlato di voci secondo cui si tratterebbe di una reazione alla volontà del presidente di congedarlo. 

Anche l’emittente France 24 ha fatto riferimento a tensioni fra Bazoum e Tchiani, oltre che rivalità all’interno dell’apparato militare nigerino. Secondo l’analista Rahmane Idrissa, infatti, “alcuni generali sono convinti che la gestione della sicurezza sia eccessivamente politicizzata, e le decisioni siano prese con l’obiettivo prima di tutto di conservare il potere, e questo approccio è negativo per le operazioni sul campo.” 

Gli esempi di Mali e Burkina Faso non sembrano però promettere alcun miglioramento: il Washington post ha verificato che, dall’insediamento delle due giunte militari, gli omicidi extragiudiziali e i rapimenti perpetrati dai gruppi islamisti sono aumentati. A questi si è aggiunta anche la repressione violenta, con il gruppo paramilitare russo Wagner implicato nei massacri di più di 300 civili nel 2022.  

Voglia di Wagner? 

Nella capitale Niamey, però, centinaia di sostenitori del golpe si sono radunati ieri mattina di fronte alla sede dell’Assemblea Nazionale. Secondo la BBC, alcuni di loro portavano bandiere russe, mentre altri sorreggevano cartelli con scritte come “Abbasso la Francia” e “Via le basi straniere”.

Il sospetto è quindi che la nuova giunta possa allontanare il Paese dagli attuali alleati e stringere maggiori legami con la Russia, come già fatto dai vicini Mali e Burkina Faso. E anche alcuni gruppi della società civile nigerina nelle ultime settimane avevano iniziato ad invocare una simile manovra. 

“Se Mohamed Bazoum si dimette dalla presidenza, il Niger si muoverà in cima alla lista dei Paesi in cui il gruppo Wagner cercherà di espandersi,” ha spiegato l’analista Flavien Baumgartner ad Al Jazeera English. Il gruppo paramilitare avrebbe infatti già messo gli occhi sul Paese in quanto importante produttore di uranio. Ma Bazoum si era finora irto come ostacolo a un loro avvicinamento, favorendo invece il rapporto con i Paesi occidentali.  

Il timore è che si ripeta quanto già accaduto in Mali nel 2021, quando la Russia sfruttò le tensioni fra i nuovi reggenti di Bamako e il governo francese per diventare un partner stabile del Paese. Una paura alimentata anche dal messaggio di giubilo che Yevgeny Prigozhin, capo della Wagner, ha condiviso sul Telegram dopo aver appreso del rovesciamento del governo nigerino. 

Finora si tratterebbe comunque solo di speculazioni, dato che il Dipartimento di Stato americano non è a conoscenza di alcun indizio che possa far supporre un coinvolgimento del gruppo Wagner, ha dichiarato ieri in un briefing il portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Patel.  

Allo stesso modo, la Russia si è comunque prontamente unita al coro di condanne internazionali, chiedendo anche lei l’immediata liberazione del presidente. “Crediamo che il golpe sia incostituzionale, e abbiamo sempre avuto una posizione chiara e ferma su questo,” ha dichiarato il ministro degli esteri Sergey Lavrov in un messaggio televisivo. La situazione rimane, su tutti i fronti, in costante evoluzione. 

Il commento 

di Lucia Ragazzi, ISPI Africa Programme 

Chiusura delle frontiere, coprifuoco, sospensione della costituzione, controllo dei media, poi l’annuncio di un governo di transizione a guida militare. Lo scenario offerto dal Niger offre tanti elementi già visti nei colpi di stato della regione in questi anni. Pur con tutti gli interrogativi che ancora regnano in queste ore, che lasciano aperti molti scenari, l’incertezza a Niamey ha immediatamente generato forti preoccupazioni per i vicini della regione e per i partner internazionali. Il Niger è stato a lungo un punto di riferimento per gli sforzi securitari della regione. Ora gli equilibri potrebbero cambiare, costringendo gli attori regionali e i partner internazionali a porsi domande difficili su come gestire le collaborazioni con un governo non democraticamente eletto. Insomma, le conseguenze di ciò che accade a Niamey andranno ragionevolmente ben oltre i confini nigerini. 

A cura della redazione di  ISPI Online Publications.

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