3 Ott 2023

Una missione per Haiti

L’Onu approva l’invio di una missione di peacekeeping nell’isola, sconvolta dalle violenze delle gang armate che terrorizzano la popolazione.

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite approva il dispiegamento di una missione di peacekeeping a guida keniana per Haiti, della durata di un anno, allo scopo di reprimere la violenza dilagante nella nazione caraibica. Dei 15 membri del Consiglio, 13 hanno votato in favore della risoluzione, mentre Russia e Cina si sono astenute. La missione proteggerà infrastrutture critiche come aeroporti, porti, scuole, ospedali e strade e svolgerà “operazioni mirate” insieme alla polizia haitiana. Il Kenya ha promesso almeno mille uomini e si prevede che altre nazioni stanzieranno risorse e mezzi. Quasi 3mila persone sono state uccise ad Haiti tra ottobre dello scorso anno e giugno 2023, dopo che le bande armate che terrorizzano la popolazione hanno preso il controllo della capitale Port-au-Prince in seguito all’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel 2021. Secondo le Nazioni Unite molti quartieri sono stati evacuati dai residenti in fuga da omicidi, rapimenti ed estorsioni a scopo di riscatto. In conseguenza dell’insicurezza, da anni ad Haiti non si tengono elezioni municipali, legislative o parlamentari, e per questo tra gli obiettivi della missione di peacekeeping ci sarà quello di creare le condizioni per il ripristino di istituzioni rappresentative. Subito dopo il voto al Consiglio di sicurezza, il ministro degli Esteri di Haiti, Jean Victor Généus, ha definito la risoluzione un “barlume di speranza” per l’isola. “Questo è più di un semplice voto – ha detto – è un moto di solidarietà verso una popolazione in difficoltà”.

Un “incubo ad occhi aperti”?

I sostenitori dell’intervento avvertono che la crisi ad Haiti non può più essere ignorata. Il paese di 11 milioni di abitanti, con poco meno di 12.800 poliziotti e all’incirca 200 bande armate in lotta tra loro, è sempre più ingovernabile, e la situazione peggiora: il numero delle gang è aumentato, insieme ai casi di violazioni dei diritti umani, compresi attacchi a ospedali e scuole. L’impennata delle azioni da parte dei gruppi di ‘protezione civile’ ha complicato la situazione e da aprile ad oggi, l’Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (BINUH) ha documentato l’uccisione di almeno 264 presunti membri di gruppi armati da parte dei gruppi di autodifesa costituiti dalla popolazione. L’uso deliberato e sistematico della violenza sessuali contro donne, ragazze e ragazzi continua a destare seria preoccupazione mentre oltre metà della popolazione, circa cinque milioni e mezzo di persone, hanno bisogno urgente di protezione e aiuto umanitario. Nonostante il protrarsi di una situazione che il Segretario Generale dell’Onu, Antonio Guterres ha definito “un incubo ad occhi aperti”, i finanziamenti per far fronte alla crisi sono deplorevolmente inadeguati: all’appello di Unicef manca oltre l’80% del budget totale richiesto per la prevenzione e la risposta alla violenza.

Speranza mista a preoccupazione?

Anche se la situazione nell’isola è drammatica, in molti esprimono dubbi sulla effettiva capacità delle forze keniane di affrontare le bande haitiane. Nelson Koech, presidente della commissione difesa del parlamento di Nairobi, ha dichiarato che il Kenya non invierà agenti stradali ma “forze armate speciali” che saranno addestrate e a cui verranno impartite anche lezioni di francese per superare le barriere linguistiche. Ma le perplessità rimangono: la polizia di Nairobi ha una reputazione dubbia e numerosi precedenti di abusi dei diritti umani e diverse organizzazioni hanno manifestato preoccupazione per la capacità degli agenti di agire in modo umano e responsabile nei confronti della popolazione civile. Ad alimentare le preoccupazioni sono anche i precedenti poco incoraggianti: i caschi blu dell’Onu presenti dal 2004 al 2017 con una missione di stabilizzazione – MINUSTAH – hanno lasciato il paese dopo una permanenza marchiata dagli scandali, tra cui numerosi episodi di violenza sessuale e un’epidemia di colera riconducibile al contingente nepalese. Anche il massiccio intervento umanitario guidato dall’esercito americano in risposta al devastante terremoto del 2010, pur accolto con favore da molti haitiani, ha sollevato un ampio dibattito sulla dipendenza dagli aiuti e sui presunti abusi da parte di alcuni operatori umanitari e forze di pace.

Il Kenya trionferà dove altri hanno fallito?

Il governo del primo ministro Ariel Henry e i suoi partner, come anche le Nazioni Unite e le principali organizzazioni umanitarie, hanno chiarito che solo una solida operazione di ‘messa in sicurezza’ sostenuta a livello internazionale può ripristinare la normalità ad Haiti. Per segnalare il suo sostegno l’amministrazione americana ha stanziato 100 milioni di dollari per la missione e altri 100 milioni dal Dipartimento della Difesa sotto forma di intelligence, trasporti aerei, comunicazioni e assistenza medica. Circa una dozzina di paesi hanno dichiarato che si uniranno alla missione, tra cui Giamaica, Barbados, Antigua e Barbuda. Ad Haiti, tuttavia, le opinioni sono contrastanti. Si va dai sostenitori della forza di peacekeeping ai contrari, che vedono in Henry – che ha assunto la carica di primo ministro subito dopo l’assassinio del presidente Moïse – un leader illegittimo il cui governo sarà rafforzato dall’intervento straniero. E alcuni accusano gli Stati Uniti e altri governi occidentali di voler utilizzare i soldati keniani per promuovere interessi “neocoloniali” e “imperialisti” nell’isola. Ma se la missione internazionale presenta dei rischi, il peggioramento della crisi umanitaria e sanitaria richiede di agire con urgenza. “Il successo di questo intervento dipende dal coinvolgimento attivo di Haiti – osserva Jed Meline, dell’agenzia umanitaria Project HOPE – per prevalere questa missione dovrebbe assumere un ruolo di sostegno, consentendo agli haitiani di guidare il cambiamento nel loro paese”.

Il commento

di Emiliano Guanella, corrispondente da San Paolo RSI – Tv Svizzera e La Stampa

“Le Nazioni Unite tornano sul “luogo del delitto”. L’ultima missione Onu ad Haiti, (MINUSTAH), durò 13 anni (2004-2017) con la partecipazione di una ventina di paesi guidati dal Brasile. Lo scopo era mettere ordine in un Paese finito nel caos dopo la destituzione del dittatore Aristide, ma il bilancio finale presentò più luci che ombre. Non solo non si riuscì a garantire stabilità al fragilissimo sistema democratico haitiano, ma ci furono gravi denunce di violazioni dei diritti umani e stupri da parte dei militari. Quando le truppe internazionali lasciarono l’isola la situazione peggiorò ulteriormente e oggi Haiti è dominata dalla violenza e dalla corruzione, con attacchi diretti anche alle organizzazioni umanitarie che cercano di aiutare la popolazione. I militari kenioti non avranno compito facile nel districarsi nell’inferno haitiano”.

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A cura della redazione di  ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca,  ISPI Advisor for Online Publications) 

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